Dieci piccoli Saba

Dieci piccoli Saba, titolo che richiama il giallo Dieci piccoli indiani di Agata Christie, è la mostra che si aprirà il 14 novembre alle ore 18.00 presso la Casa dei Libri di Andrea Kerbaker (Milano, via Largo De Benedetti 4) curata con la Libreria Pontremoli e la Libreria antiquaria Drogheria 28. La mostra è accompagnata da un catalogo di estrema finezza, stampato in soli 200 esemplari.

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Dieci piccoli gioielli di carta. Dieci libretti spariti e ritrovati. E dietro a loro un sogno, fatto di versi e passione bibliografica. Un progetto nato dall’amicizia tra due grandi poeti triestini: Umberto Saba e Virgilio Giotti. Tramontato troppo in fretta, davanti alle difficoltà di realizzare volumi a tiratura limitata da vendere a selezionati collezionisti e amici.

Sembrava morto sul nascere, quel sogno. Anche se c’erano tracce che qualcosa, Saba e Giotti, dovevano avere abbozzato. Magari per prova, per vedere l’effetto che faceva. Ne parlavano, infatti, l’amata figlia Linuccia e Anita Pittoni in uno scambio di lettere.

Adesso, quei dieci piccoli gioielli di carta sono riapparsi. Come? Qui ci vorrebbe lo spazio di un romanzo per raccontare bene questa storia. Sì, perché Simone Volpato, editore e libraio antiquario, ma anche raffinato studioso di cose letterarie, avrebbe potuto arrendersi molto in fretta. Dopo averne trovati due di quei gioielli di carta nella casa di Cesare Pagnini, l’avvocato studioso di Da Ponte, gran collezionista di libri, podestà di Trieste ai tempi del fascismo che è morto nel 1989. Per fortuna, non si è fermato lì. Ha continuato a scandagliare la preziosa raccolta bibliografica, da cui sono emersi i volumi che formavano la libreria di Alberto e Carlo Michelstaedter, ma anche di Italo Svevo.

A poco a poco, accanto a due minuscole plaquette dattiloscritte e firmate dall’autore del “Canzoniere” (“L’uomo” e “Tre poesie alla mia balia”, dedicate a Ruggero Rovan e allo stesso Giotti), ad aggiungersi ai primi due libretti autoprodotti, ovvero “Casa e campagna” e “Nuovi versi alla Lina”, ne sono comparsi otto in più. Nascosti dentro altre pubblicazioni.

Adesso, i dieci piccoli Saba si mettono in mostra. Da giovedì, con inaugurazione alle 18, fino a venerdì 22 novembre saranno in esposizione alla Casa dei libri di Andrea Kerbaker a Milano, in largo De Benedetti 4. Orario per il pubblico, dalle 15 alle 19. A promuovere questo omaggio all’autore del “Canzoniere”, a 150 anni dalla sua nascita, sono la Libreria Antiquaria Pontremoli di Milano e la Antiquaria Drogheria 28 di Trieste.

Ma come sono questi dieci capolavori in miniatura ritrovati? Lo svela Lucia Di Maio, della Pontremoli, nell’introduzione al catalogo della mostra. Stampato in tiratura limitata a 200 copie e che contiene i versi inediti “Meriggi carsici”. «Furono preparati dal poeta con l’aiuto dell’amico (pure straordinario artista) Virgilio Giotti, che lavorò alla grafica e all’illustrazione; secondo un vezzo di Saba le copie sono dattiloscritte, con uso di carta antica, cucite a filo e preparate per un numero ristretto di lettori (facoltosi acquirenti?)». Nel progetto, la tiratura doveva variare dai 5 ai 25 esemplari. Le persone a cui offrirli? Sarebbero stati il filosofo Giorgio Fano, il pittore Vittorio Bolaffio, autore di uno splendido ritratto del poeta. , gli scrittori Guido Voghera e Ettore Schmitz-Italo Svevo, il medico e studioso di Stendhal Bruno Pincherle, i bolognesi Aldo Fortuna e Giuseppe Carlo Paratico, suoi informatori bibliografici.

Non ci fu nessuna tiratura. Il progetto rimase solo una splendida idea. O, meglio, un’ossessione, visto l’insuccesso di “Ammonizioni e altre poesie 1900-1910”, di cui Saba scriveva al critico Giacomo Debenedetti: «Il libro sarebbe il primo della raccolta definitiva di tutta la mia opera (10 volumetti da stamparsi in cinque anni)». Ma i tempi non erano favorevoli e lo costrinsero «a calar le vele e raccogliere le sarte», come scriveva Dante nel canto XXVII dell’Inferno.

Rimasero solo quei dieci prototipi. Un unicum assoluto, come ricorda Volpato nel suo saggio “Due poeti, due donne, un avvocato e dieci libretti…”: «Un caso letterario italiano di eccezione: è un unicum il fatto che a costruire questi libretti siano stati due poeti fondamentali per la letteratura italiana e dialettale; è un unicum anche filologico perché in essi troviamo, cosa che mai apparirà nemmeno nella “Storia e cronistoria del Canzoniere”, commenti e pennellate di colore e di sapore del tutto inediti; è infine un unicum come si siano salvati data la loro estrema fragilità».

Erano anni di grande inquietudine, quelli, per Saba. Tra il 1919 e il 1921 era al lavoro per dare una struttura al suo “Canzoniere”. E stava tentando di riunire tutte le poesie inedite successive a “Coi miei occhi” in un volume Vallecchi. Il titolo era già stato scelto: “La serena disperazione”. Ma Vallecchi lo lasciò con l’amaro in bocca: a bozze corrette, rinunciò. Per non arrendersi, Saba si mise a progettare con Giotti i dieci libretti del “Canzoniere”. E la plaquette “Cose leggere e vaganti”, che porta il marchio della Libreria di via San Nicolò, è una sorta di visualizzazione materiale del suo progetto. Dentro ci avrebbe messo, come ricorda Volpato, «una ristretta scelta di poesie quasi a voler dare evidenza solo a quelle che reputa più importanti».

Ma come sono arrivati i dieci libretti in casa Pagnini? Il 25 agosto del 1957 Saba muore a Gorizia. Tutte le sue carte passano alla figlia Linuccia, che si rivelerà attenta e intelligente nella gestione della memoria paterna. Anita Pittoni, intellettuale poliedrica, compagna di Giani Stuparich, che nel 1950 aveva stampato una bella edizione degli “Uccelli” sabiani, le comunica presto il desiderio di creare un Centro studi triestini, con libri, manoscritti, fotografie. E Linuccia, all’inizio degli anni Sessanta, scrive ad Anita di avere ritrovato «una serie di dattiloscritti da lui composti con l’aiuto del nostro carissimo e compianto Giotti. Sono dei libretti dall’aspetto misero ma fiero». Potrebbero interessare? La risposta della Pittoni, quando il pacchetto giunge a destinazione, è eloquente: «Che emozione, mi sembrava di avere di fronte Umberto che me li mostrava con aria indolente ma perfidamente contenta». Pochi anni dopo, però, un’Anita in gravi difficoltà economiche scriverà a Pagnini: «Non senza vergogna le vengo a chiedere se mi può aiutare». Nessuno le aveva dato una mano per creare il Centro studi, gli amministratori di Trieste meno che meno.

E allora quei libretti li comperò l’avvocato. Anita Pittoni chiedeva 420 mila lire. Non è dato sapere quanto pagò Pagnini per averli.

 

Alessandro Mezzena Lona su Il Piccolo, 10.11.2013.